


Lei ama le sfide. Fu il primo giocatore italiano ad andare in Indonesia. Se le dico Pelita Jaya? "Correva l'anno 1995. Si era suicidato da poco mio suocero. L'anno prima ero stato dato in prestito dalla Reggiana al Venezia di Zamparini, a fine prestito ero in trattativa per la risoluzione del contratto. Trattavo con la Pistoiese, ma un mese prima dell'inizio del ritiro un procuratore italiano che viveva a Reggio Emilia, Salvatore Trunfio, venne al campo e mi disse «Ci vuoi andare a giocare in Indonesia?». E sa perché andai a giocare in Indonesia? Provo ad immaginare: Sandokan? "Sì, esatto. Davvero, non scherzo. Ero affascinato da Sandokan, pensai «se mi danno i soldi vado in Indonesia». Incredibile, accettarono le condizioni. Risposi al procuratore, che si fece risentire dopo un po' di tempo «Se entro mezzanotte mi fai avere il contratto chiedo scusa alla Pistoiese, non firmo e gli spiego che per me sarebbe meglio anche portare via mia moglie dopo quello che è successo». Alle 23.45, una sera, mi arrivò il contratto via fax. Il rullo girava, andava avanti. C'era il contratto da cinquecentomila dollari. Chiesi scusa al ds Salvatori e presi l'aereo per l'Indonesia. Arrivai a Giacarta e subito, in aeroporto, fu come se fossi a casa (ride, ndr). Iniziarono a dirmi «Suka», che in siciliano è una parolaccia, ma in indonesiano vuol dire «Piacere di conoscerti», all'epoca non lo sapevo. E ci fu un piccolo equivoco (ride, ndr). Mi ritrovai a firmare il contratto al quarantesimo piano di un palazzo megagalattico. L'Indonesia mi ha cambiato la vita".
Cosa si porta dietro di quell'esperienza? "Ancora oggi sono in contatto con delle persone che conobbi all'epoca, me le sono ritrovate nel mio percorso futuro, appese le scarpe al chiodo. Sono sincero, lì trascorsi un anno e mezzo spettacolare, poi ebbi la fortuna di giocare con due dei giocatori che hanno fatto la storia del calcio: Mario Kempes e Roger Milla. Con Kempes nacque un'amicizia importante. Poi lì scoppiò la rivoluzione, fui costretto a ritornare in Italia. In Indonesia conobbi una persona, Roberto Regis Milano, che faceva trading in Indonesia. Mi contattò, chiedendomi quale fosse l'occasione migliore. Subito andammo a trattare la Reggiana, ma non trovammo l'accordo. Poi saltò fuori l'occasione Torino. Mi ritrovai subito, da calciatore a dirigente del Toro: ero diventato il responsabile dell'area tecnica granata, nel 1996. Potevo decidere tutto quello che volevo, ma non avevo l'esperienza, la caratura, per gestire una società del genere. Mi accodai a delle persone che all'epoca erano più competenti. Ma ho un rimpianto...". Cioè? "Un giorno andai a Parigi da un amico, che mi portò a vedere dei ragazzi di colore. Vidi un ragazzino che mi fece subito una buona impressione. Gli chiesi «Vuoi venire a provare a Torino?». «Subito», la sua risposta. Dissi ai responsabili del settore giovanile del Toro di provarlo. Dopo una settimana lo bocciarono, così mi feci mettere tutto per iscritto. Telefonai a Leo Mannone, presidente del Marsala, gli mandai questo ragazzino. Sapete chi era? Patrice Evra. Da lì cominciò la sua storia. Intanto il Torino fu venduto, Ciminelli e Luciano Moggi mi proposero il rinnovo di contratto. Ma li ringraziai e presentai le dimissioni. Da un po' di tempo Beppe Galli e Antonio Caliendo mi stavano addosso, così mi convinsero ad andare a lavorare con loro. Facemmo una società, da cui andai via dopo sei mesi perché il mio modo di pensare era diverso rispetto a quello di Caliendo".